Attenzione: post troppo, troppo lungo per essere vero.

L’Anarca, qualche giorno fa, ha raggiunto il suo quarantesimo anno di vita. Non che questa sia una notizia da home page di Tocque-ville… per carità… che se poi la legge la nostra cara amica Inyqua ci riappioppa un altro articolo della d.ssa lituana Kristina Hug su quell’embrione dell’Anarca e a quel punto ci tocca veramente risolvere la questione al tramonto dietro il muro del cimitero.
No, la notizia, per quanto ghiotta, ce la teniamo per noi che conosciamo l’Anarca da lungo tempo e sappiamo della sua riservatezza. Fuori dai riflettori apriamo il suo diario e cerchiamo di capire cosa gli è passato per la testa.
L’arrivo di questi 40 anni era previsto da tempo. L’Anarca li ha attesi alla stazione in realtà senza molta trepidazione; non ha chiamato la banda, né le autorità. Ci hanno pensato loro a fare casino. Sono scesi dall’ultimo vagone di un treno arrivato fin troppo in anticipo e hanno riempito il binario di allegria. l’Anarca si è un po’ vergognato come gli succede spesso quando si trova dentro situazioni che non governa e all’inizio ha fatto perfino finta di non riconoscerli; niente da fare, gli sono passati davanti uno dietro l’altro… chi gli ha stretto la mano, chi lo ha abbracciato dopo tanto tempo, chi gli ha ringhiato in cagnesco… come quell’anno là… quello che fece quella straordinaria cazzata che non si è mai perdonato e che si vergogna persino di scrivere nel suo diario. Insomma ci stavano tutti… tutti e 40, arrivati da ogni parte del tempo per la grande festa. C’era l’anno del primo fiocco bianco e del primo grembiule; l’anno dello scherzo di quel maledetto di suo fratello che gli fece prendere un colpo, l’anno del Fantic Motor inguardabile quando tutti avevano il Ciao o il Boxer blu, l’anno del Subbuteo, l’anno del pugilato con il mitico Casamonica… dell’omonima famiglia, l’anno di Caravaggio, di Marx e di Feuerbach alla maturità, l’anno della terribile culata a terra al primo lancio di brevetto, l’anno del primo scontro all’Università quando in 30 ne fecero scappare 200, l’anno della prima manganellata e quello del primo incontro con quei capelli neri che non avrebbe più lasciato. L’anno di quel 19 dicembre e l’altro 19 dicembre di 4 anni dopo; l’anno di Mak volato via dentro una luna piena in Agosto e l’anno di Poldo che lo ha raggiunto dentro un caldo vento d’Aprile. L’anno della barba lunga, … persino l’anno dell’orecchino che l’Anarca aveva praticamente nascosto nel garage della sua mente, insieme alla 2Cv rossa fiammante che gli hanno fregato sotto casa non so quale anno fa. Insomma i suoi 40 anni erano venuti proprio tutti non ne mancava nessuno; e lui, eterno distratto, ha dovuto fare un po’ di fatica perché molti non li ha nemmeno riconosciuti tanto erano cambiati.
La mattina del suo compleanno il suo splendido bimbo lo aveva buttato giù dal letto alla buon’ora e gli aveva dato un pacchetto: “Papà auguri… questo è il regalo per te!”. Dentro c’era una bellissima tuta da ginnastica e un paio di pantaloncini da footing. L’Anarca, ha dato una gomitata al suo cinismo che continuava a dormirgli affianco, lo ha svegliato e ha pensato tre cose: che la circonferenza della sua pancia dovesse aver raggiunto livelli ormai insopportabili anche per suo figlio; oppure, per questa maledetta abitudine che ha di provare a cogliere segni nelle cose del quotidiano, che forse doveva iniziare a far partire la sua rincorsa alla vita; o semplicemente che aveva chiesto lui quel regalo ma la sua arteriosclerosi incipiente gli impediva di ricordarlo.
Mentre andava in ufficio imbottigliato nel traffico veltroniano che, come la nebbia di Totò e Peppino, c’è ma non si vede, cercava una qualsiasi consolazione del fatto che i suoi amici non gli telefonavano per fargli gli auguri; non c’era nulla di cui rammaricarsi, in fondo è tutta colpa di questi maledetti decimali che inchiodano la nostra cultura ai secoli e ci costringono a pensare ogni numero 10 come fosse uno squarcio di destino. Il giovane e brillante studioso di storia vicino-orientale che ogni tanto riemerge dalla palude della sua memoria, gli ricordava che tanto è solo convenzione: se ci fossimo tenuti quel sistema sessagesimale che i nostri zii babilonesi adottavano, non ci staremmo a scassare le scatole così tanto per un 40 raggiunto.
Poi, arrivato in ufficio, dalla mazzetta dei giornali che lo aspetta ogni mattina, ha capito che quelli del Corriere della Sera sono proprio dei bastardi. Lo avevano fatto apposta, perché i poteri forti esistono e avevano costruito attorno a lui un disegno preciso per colpirlo alle spalle. Nel giorno stesso del suo 40° genetliaco avevano fatto uscire un numero del Magazine interamente dedicato a quelli come lui. In copertina Lucrezia Lante della Rovere e dentro alcuni dei più fighi 40enni d’Italia: da Stefania Prestigiacomo, al bel Marzotto, da quel fisicaccio di Alberto Tomba, all’avvocato Buongiorno… un’intera classe ’66 fatta di successi, fama, bellezza, intelligenza; e il povero Anarca che era arrivato faticosamente a 40 anni senza aver mai sposato Luca Barbareschi, senza aver mai fatto il Ministro, senza aver mai gestito le aziende di papà, senza aver mai vinto un mondiale di sci, senza aver mai difeso Andreotti … si è sentito improvvisamente inutile.
Poi come se non bastasse, ci ha pensato Aldo Cazzullo a metterci il carico sopra con quella storia della “solitudine della non-generazione che fa fatica a dire noi” e di quanto era bello il ‘68 e quanto scemi sono i 40enni di oggi che non lo hanno vissuto.
L’Anarca è sobbalzato e ha esclamato: “Il ’68? Ma è proprio quello da cui noi ci siamo salvati”.

E’ incredibile come quella generazione… quella del ’68, torni come un incubo ogni volta che qualcuno prova a fare i conti con il tempo e la storia. Stiamo ancora camminando tra le macerie che loro, quelli del ’68, ci hanno lasciato; macerie culturali, ideali, sociali, politiche. La disillusione dei loro fallimenti… di chi voleva portare la fantasia al potere e oggi è il Potere… quello più grigio; la disgregazione di quasi tutto quello che c’era per poi finire a Puerto Escondido, o sul lettino di qualche psicanalista; e non contenti di aver toppato tutto, analisi, idee, previsioni, scelte storiche, dopo aver massacrato sogni e vite continuano a rompere i coglioni con le loro “bustine di Minerva” o dentro i loro Premi Strega, senza un minimo di pudore o di vergogna per i danni che hanno prodotto.
La generazione del “noi” ha distrutto l’io. E noi oggi ce lo stiamo solo riconquistando. Quindi, fanculo al ’68… una volta e per tutte. E
così l’Anarca ha buttato il Corriere Magazine nel cestino, il ’68 nel cesso , i ’68ini nelle fogne della storia e ha deciso di cambiare vita: da lunedì s’infilerà quegli straordinari pantaloncini da footing che il piccolo Michele gli ha regalato. Ha capito che c’è ancora molta strada da fare e che, gli uomini liberi, sono quelli a cui basta veramente poco…

update: oggi l’Anarca è andato a correre con i suoi bellissimi pantaloncini nuovi; ha fatto 4,2 km in 33 minuti. Temeva peggio. Certo, ai tempi in cui si lanciava dal Chinook come “Folgore dal cielo”… di minuti ce ne metteva la metà. Non sembra avere particolari ricadute tranne l’emergere di un colore verdastro sulla cute interrotto dachiazze violacee. Attenderà la prossima notte di luna piena… ché da oggi è proprio un’altra vita!

Immagine: Dorothea Lange, The Road West, 1938, Metropolitan Museum, New York