Al Secolo d’Italia, il quotidiano dei finiani veggenti, qualche giorno fa hanno stappato bottiglie di champagne dopo che Giorgio Bocca ha sdoganato Fini sull’Espresso. In un articolo entusiastico, ci si è commossi non poco per l’apertura di credito che Bocca avrebbe fatto alla “destra normale” di Fini. Ed hanno ragione, perché il discorso di Mirabello ha scaldato i cuori della meglio gioventù della sinistra italiana, da Miriam Mafai ad Antonio Padellaro e ora anche Giorgio Bocca. Sì, perché dalle colonne del settimanale di De Benedetti, il per-sempre-partigiano ha scritto un articolo assai confuso ma con alcuni elementi chiari. Primo, che Fini sarà anche l’interprete del solito trasformismo italico, ma vogliamo mettere lui al confronto con Berlusconi? Secondo, che “nel mondo di oggi la democrazia è di moda, non odiata e diffamata come negli anni dei fascismi nascenti”, quando lui, Bocca, era fascista, appunto. Quanto basta perché in questa ricerca spasmodica di entrature a sinistra, i finiani duri e puri trovino un motivo in più per credere, obbedire e combattere.Oddio, non è che Bocca non le abbia cantate a Fini. Il vigilante democratico non ha fatto sconti a nessuno e quindi ha aggiunto dei passaggi che per il Secolo d’Italia, giornale ormai ossessionato dal bisogno di essere sdoganato a sinistra, devono essere sembrati tanto indigesti da non poter essere riportati. Descrivendo la platea di Mirabello che ascoltava Fini, Bocca ha detto che “i fascisti di sempre, gli squadristi eterni erano chiaramente riconoscibili”; e che “in questo suo passaggio dal fascismo alla libertà ci sono gli antichi vizi, l’antica ignoranza, e gli antichi opportunismi”. E allora si capisce che per gli intellettualini finiani il prezzo da pagare per entrare a carponi nei salottini radical chic a lavare tazzine da tè, è ancora alto. Ma Bocca non si è fermato qui. Ha volato alto. Ha sentito il bisogno di rievocare una sua intervista al fieldmaresciallo Kesserling a Monaco, che, ad occhio e croce, essendo il maresciallo morto cinquant’anni fa, è stata fatta quando c’era ancora Krusciov, quando Oscar Luigi Scalfaro era agli inizi della carriera politica e il Muro di Berlino era stato appena alzato. E ha detto anche che quella di Fini, in fondo, è una destra perbene, mica come quella affaristica del boia di Arcore. Poi ha concluso in grandezza con salti vorticosi e ascese imprevedibili: ha paragonato la Mirabello finiana alla Molinella dei socialisti turatiani. Eppoi, non pago, poiché si racconta che a Fini, prima dello storico comizio, avrebbero offerto un bicchiere di vino del buon ritorno, ha affermato che questo segnerebbe il profondo legame del leader di Fli “con la civiltà contadina” ed il suo essere “un politico della tradizione italiana”. Parola di Giorgio Bocca, mica di un vecchiettino qualunque di quelli che da quarant’anni scrivono, scrivono e non ne azzeccano una. Giorgio Bocca, il nume tutelare del Museo delle Cere della sinistra italiana. E al Secolo, i tipini fini hanno brindato. Viva Giorgio Bocca: novantenne e comunista, come dire, Futuro e Libertà.

© Il Tempo, 19 Ottobre 2010