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degregori2011_03Ieri, per Francesco De Gregori, è stato un giorno di ribalta; non per un nuovo brano uscito, né per un concerto realizzato, ma per un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera che ha fatto letteralmente impazzire lettori e commentatori tanto da essere rilanciata e citata sui social media in migliaia di tweet e post su Facebook.
L’intervista era un viaggio nell’intelligenza di un artista che ha saputo come pochi trasformare in musica la narrazione viva di questo paese, le storie dell’ultimo secolo e del nostro presente.
De Gregori ha parlato di politica, non di musica. Ha  parlato della sinistra, della sua sinistra, quella dentro la quale, ha detto, “continuo a pensarmi” perché “sono nato lì”; ne ha parlato con severità e amore, col cuore e con la lucidità di chi da tempo la osserva con disincanto. L’ha definita “un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili ad un sindacalismo novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità”. Una sinistra che “si commuove per lo slow food e poi (…) strizza l’occhio ai No Tav”.
Ha parlato di Berlusconi da antiberlusconiano, scivolando nelle facili discese dei luoghi comuni: “ha fatto politica solo per proteggere i suoi interessi, senza avere nessun senso dello Stato, nessun rispetto per le regole”; ma risalendo su giudizi onesti e coraggiosi: “potevamo farci qualche domanda in meno su Noemi e qualcuna di più sull’Ilva di Taranto”; e ancora: “sono stato berlusconiano solo per trenta secondi in vita mia: quando ho visto i sorrisi di scherno di Merkel e Sarkozy”.
A questo De Gregori si perdona persino il fatto che quella sinistra in cui lui è nato gli abbia lasciato un Dna impossibile da eliminare, come quando ha detto che la “ricchezza dovrebbe essere redistribuita”, facendo finta di non sapere che ogni volta che lo si è fatto si è generata povertà; e che la ricchezza non va distribuita, ma creata.
Eppure l’intervista di De Gregori, l’accoglienza trionfale ricevuta, a sinistra come a destra, il senso di liberazione che traspare nei commenti da parte di un paese esausto da uno scontro ventennale senza vinti né vincitori, sono anche lo specchio di un’Italia disposta a fare i conti con la politica ma non con la realtà fino in fondo.
De Gregori a un certo punto della sua intervista ha affermato: “Pensare di eliminare Berlusconi per via giudiziaria credo sia stato il più grande errore di questa sinistra”.
Sembra un giudizio rigoroso, ma non è così. C’è qualcosa che De Gregori non racconta, forse perché non lo pensa o forse perché è complicato raccontarlo o comodo non dirlo. L’ossessione giudiziaria contro Berlusconi, che blocca da vent’anni il paese, non è un prodotto semplicemente  della sinistra. Semmai la sinistra ha provato a sfruttarla svolgendo la funzione di “utile idiota” di poteri più vasti e complessi e alla fine pagando un caro prezzo.
In questo paese ci sono argomenti tabù sui quali i giornalisti non ti fanno domande e di cui, quindi, si ha la scusa di non parlare.
Perché il Berlusconi che scende in politica è un conflitto d’interesse mentre Monti benedetto dalla finanza che sale in politica (e che De Gregori ha votato) non lo è?
Perché un imprenditore che si misura alla luce del sole con la democrazia e il consenso è un’anomalia, mentre un governo di tecnocrati e banchieri imposto dai poteri internazionali e senza volontà popolare non lo è?
E perché non sono un’anomalia quegli imprenditori che la politica la fanno nell’ombra, condizionandola con i loro giornali-partito e i loro gruppi editoriali?
Perché “l’ossessione di vedere Berlusconi in galera” è dei politici di sinistra e non dei magistrati?
E perché nessuno denuncia che la vera anomalia, unica in Occidente, è quella dei magistrati che fondano partiti ed entrano nel meccanismo politico sfruttando il proprio ruolo coercitivo e la notorietà raggiunta con le inchieste?
E se per un anno, in questo paese, si è preferito “parlare di Noemi invece che dell’Ilva” (o magari della truffa dei derivati) è colpa di Bersani o dei giornali di proprietà dei grandi gruppi industriali e bancari?
Le responsabilità della politica sono evidenti a tutti di fronte alla fine del berlusconismo e ai fallimenti del Pd; ma ci sono poteri che non sono toccati, neanche dagli spiriti liberi.
Ieri, con quell’intervista, De Gregori, come il Nino narrato in una delle sue più belle canzoni, ha messo “il cuore dentro le scarpe” ed ha corso “più veloce del vento”. Ha segnato molti gol. Ma alla fine, anche lui, come molti altri che provano a leggere quest’Italia, ha avuto “paura di tirare il calcio di rigore”.

© Il Tempo, 1 Agosto 2013